Astrattismo ed arte materica in Italia
Mi piace l’idea di ripassare e condividere alcuni argomenti che avevo portato come argomento all’esame di storia dell’arte a fine liceo.
Una delle correnti artistiche più discusse all’inizio del XX° secolo è stata senza dubbio l’astrattismo, per il completo capovolgimento della ormai consolidata, per allora, e secolare concezione dell’arte come “imitatrice della realtà“.
L’astrattismo, infatti, come altre correnti dell’inizio del XX° secolo, dopo l’invenzione della fotografia, vuole trovare il coraggio di andare oltre ciò che è già stato fatto, visualizzando con forme, linee e colori la complessità dei sentimenti che si agitano dentro ciascuno di noi, agendo psicologicamente sull’inconscio dello spettatore attraverso il suo occhio, così come il musicista agisce sull’udito dell’ascoltatore mediante il rapporto reciproco delle note.
L‘analogia fra pittura e musica è comune nella concezione artistica europea fra Ottocento e Novecento, in modo spontaneo. Meriterebbe un approfondimento a parte (magari in un prossimo articolo) Wassili Kandisky.
In Italia l’astrattismo arriva in ritardo rispetto ad altre nazioni, solo negli anni ’30 alcuni artisti rifiutano il realismo figurativo e scelgono la rappresentazione di forme e colori puri.
C’è però una polemica non soltanto verso il realismo, ma anche all’interno degli stessi astrattisti, fra gli informali, gli astratto-concreti e i concreti.
Alberto Burri – arte materica.
Rientra nell’ambito dell’informale, ma con una forte originalità, Alberto Burri (Città di Castello, Perugia, 1915).
Laureato in medicina, prigioniero di guerra nel ’44, tornato in Italia decise, nel 1945, di abbandonare la professione medica e di dedicarsi alla pittura. Fra il ’48 e il ’50 supera le tecniche tradizionali iniziando ad utilizzare materiali diversi. Diventerà uno dei massimi rappresentanti della pittura materica, scegliendo materiali diversi per le qualità espressive che essi posseggono, dal catrame, ai sacchi di iuta, plastica anche bruciata e altri. Non si tratta più della “ricerca del bello”, ma della forza espressiva emanata.